«Volevo prendere ciò che un mondo sprezzante può deridere, per trasformarlo in qualcosa di buono, empatico, gentile e inclusivo». Per Rick Owens, classe 1962, stilista e furniture designer dall’anima dark, la moda è sempre stata qualcosa che investe profondamente vita personale e visione sociale. «Se riuscirò mai a offuscare anche solo leggermente i rigidi parametri di ciò che è considerato bello o accettabile dalla nostra generazione, sentirò di aver contribuito a un potenziale cambiamento positivo di questo mondo»  ha detto il designer.

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Accogliere la diversità, dunque, rendendola bellezza e accettazione, è alla base della sua creazione artistica. Un percorso ventennale che trova il suo compendio in Subhuman Inhuman Superhuman, la prima retrospettiva in assoluto dedicata al visionario stilista, fino al 25 marzo alla Triennale di Milano.

Proposta dalla curatrice Eleonora Fiorani, la mostra è presentata come un gesamtkunstwerk, un’opera d’arte totale, con una selezione di pezzi provenienti dai suoi archivi di moda, arredo, film, opere grafiche, pubblicazioni, insieme a una monumentale installazione scultorea, una nube nera che percorre l’intero spazio espositivo, sospesa.

È in questa installazione – appositamente realizzata per la retrospettiva – che si legge l’intero percorso narrativo di Owens, nel quale uomo e genio creativo sono una cosa sola. L’opera di ‘concrete art’ è una mistura di materiale organico e non, nella quale figurano i capelli del designer, la sabbia del lido di Venezia. Testimonia quanto Owens abbia donato sé stesso nel processo creativo non solo di questa exhibition ma nel corso di tutta la sua carriera.

Californiano residente a Parigi, Owens diviene in questa retrospettiva autore della sua stessa narrativa e, esplorando l’evoluzione della sua creatività, racconta eloquenza, innovazione, grazia e sofisticata raffinatezza del suo lavoro.

Influenzato dalle opere di poeti e artisti come Stéphane Mallarmé, Piero Manzoni, Pierre Molinier, Marcel Duchamp, Carol Rama ed Eileen Agar, lo stilista integra la loro prassi con la sua sensibilità punk e anarchica, che non mira a togliere riferimenti o orizzonti comuni ma piuttosto a fornirne di nuovi, spesso più inclusivi.

La sensazione – non casuale – che prova chi accede all’esposizione è quella di arrivare su una passerella. Le creazioni di Owens si succedono l’una dopo l’altra, in un clima da film post apocalittico, fino a giungere allo spazio finale, in cui sono proiettati i video di alcuni dei suoi show più famosi (celebre quello del 2015 con scene di nudo maschile, accidentali, ma irriverenti).
Un’esperienza immersiva, totale, che risucchia il visitatore nell’universo di Owens un po’ alla volta, fino a farvelo precipitare totalmente. Dai video alle opere esposte, tutto rimanda a una sottesa, ma pervasiva atmosfera “sacrale”: quella di Owens è un’arte che punta a coinvolgere l’intera esistenza, a stravolgere i dettami dell’estetica.

Senza la presunzione di indottrinare, Owens fornisce una chiave di lettura al mondo descrivendone paradigmi, utopie e distopie. Il suo approccio, vivo alla conoscenza del mondo e totale alle manifestazioni del reale, fanno di lui un artista-sacerdote, che offre al pubblico una via di fuga, la sua. Quasi una religione. Sicuramente un’esperienza imperdibile per chiunque ami l’arte.

 

Pushed by Gloria Presotto e Martino Carrera

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