Il desiderio di condivisione è sostanza stessa dell’uomo: raccontare storie e lasciare testimonianze per convincerci che uniti sapremo superare l’emergenza.

TspMag è una pagina bianca, tutta da scrivere, è un’opportunità e un invito a raccontarci la vostra quotidianità, le vostre storie di speranza e determinazione. Uno spazio aperto per un abbraccio virtuale.

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Celestina, da Roma

Stamattina c’era il sole.

Da quando lavoro a casa ho cominciato a prestare attenzione ai suoi movimenti: entra dritto in cucina tra le 9 e le 9:30 e poi si sposta, così a schiaffo, in camera da letto. Ho preso l’abitudine di farmi il terzo caffè e di sedermi sul davanzale della finestra a berlo con gli occhi chiusi finché non mi sorprende il freddo dell’ombra.

Non dura tantissimo ma è abbastanza per tornare a lavorare felice. Le prime mail a cui rispondo dopo il terzo caffè sono dei più fortunati perché mentre scrivo continuo a sorridere, neanche fosse un riflesso incondizionato, come quelli da cretina innamorata che ti sorprendono dopo il primo bacio.

Stamattina tra le 9:30 e le 9:40, mentre prendevo posto nel mio angolo preferito da quando lavoro da casa, ho visto un furgone bianco in mezzo alla strada e tre persone.

Era il furgone della polizia mortuaria.

Tre uomini si stavano reciprocamente vestendo, come fosse un rituale scandito da gesti chirurgici: mi hanno ricordato mio zio quando si vestiva per dire messa.

Tirava fuori le cose una alla volta, quasi contemplandole, le indossava scandendo ogni singolo gesto con devota consuetudine.

Prima la tuta bianca col cappuccio, poi la mascherina, i guanti ce li avevano già.

Sono entrati nel palazzo di fronte mentre le lucine blu, piccole e discrete, continuavano a lampeggiare evaporando, manco fossero rugiada di marzo, nella luce di una giornata di quasi primavera.

Discrete e silenziose perché il furgone della polizia mortuaria non ce l’ha la sirena, taglia la strada come un coltello che affonda nel burro e se ci passi accanto distratto non ci fai caso che no, non è il corriere.

Sono rientrata, per istinto e per pudore.

Ho provato a lavorare, ho fatto telefonate di lavoro.

Non riuscivo però a smettere di pensare a quelle luci blu.

Continuavo ad andare su e giù.

Computer, finestra.

Finestra, computer.

Telefono.

Finestra.

Quanto tempo dopo non lo so, è spuntata la prima testa col cappuccio bianco, dopo ancora la seconda e poi la terza. Nel mezzo una barella portata a mano, sopra un sacco nero di tessuto tecnico, dentro un corpo.

Non dimenticherò mai il rumore della porta del furgone che si chiude: è stato un pugno in faccia, dritto.

È stato il momento esatto in cui ho sentito dentro il frastuono di quello che sta accadendo.

Ho alzato gli occhi in cerca di altri sguardi che da una finestra o un balcone potessero dirmi: “sì, hai visto quello che ho visto io. Sì, non è tutto un film”.

Non c’era nessuno a condividere quello sguardo con me.

Dai palazzi arrivano risate di bambini, la tv accesa, la radio. Qualcuno sistemava le piante, qualcuno discuteva al telefono, c’era chi leggeva sull’ipad fumando la sigaretta.

Avevano tutti lo sguardo rivolto altrove.

Uno dei tre uomini, prima di risalire sul furgone, si è tolto il cappuccio, ha abbassato la mascherina e si è accasciato sul suo telefono. In silenzio.

È così che succede, viviamo giornate senza nome tra le mura di casa normalizzando il più possibile tutto quello che normale non è. Commentiamo numeri che non ci appartengono come se fossero le previsioni del tempo di un’altra regione e mentre siamo lì a far finta che vada tutto bene, le vite degli altri naufragano nel silenzio di un cielo troppo blu per stare a casa.

Oggi, per la prima volta, ho avvertito forte la consapevolezza di questo tempo maledetto, di un prima e di un dopo nel mezzo di questo durante che traballa incerto tra “l’andrà tutto bene” e il “niente sarà più come prima”.

Ed ora che vorremmo tutti solo “scomparire in un abbraccio” dobbiamo imparare ad amarci a distanza.

Pensavo di essere campionessa mondiale di “controllo e distacco” e mi riscopro solo oggi bisognosa di sguardi a meno di un metro e mani intrecciate a scambiarsi chissà cosa.

Il rumore di quel furgone che si chiude mi ha ricordato che a volte è necessario capire che sarà difficile, è indispensabile comprendere che tutti, nessuno escluso, è chiamato a sacrificare un pezzo della propria vita. Non importa per chi.

I cieli blu, la vita, le risate, la felicità o qualsiasi cosa le somigli, continueranno insieme ai caffè sul davanzale. È un dovere non smettere di vivere, è onere e insieme onore farlo nella consapevolezza delle vite degli altri.

Stamattina c’era il sole ma io, di questa giornata, ricorderò per sempre solo quelle luci blu.

Ilaria, da Padova

Ciao sono Ilaria vivo a Padova e sono un educatrice di un nido comunale gestito da un ente paritario.
Fin da subito ho fatto prevalere il mio senso civico e di responsabilità rinunciando alle vacanze di carnevale verso Salerno, mia città natale, dove vivono parenti cari e alcuni molto anziani.
Vorrei raccontarti che come educatrici abbiamo deciso di mantenere vivo il rapporto con le famiglie e i bambini creando canzoni, filastrocche, video delle canzoni delle routine e video di attività come pasta di sale. E la risposta della famiglie è stata tanta, positiva ed emozionante con i video dei bambini che ci salutano o fanno attività conosciute al nido.
Mi sento inutile rispetto ai milioni di sanitari impegnati e così evito i contatti e creo con mia figlia giochi da fare in videochiamata con amichette o parenti e cugini e devo dire ho riscontrato un gran successo tanto che domani spero di riuscire a fare un video, così da condividerlo.
Io ho la fortuna di stare a casa, per ora in ferie, ma ogni giorno mio marito va a lavoro, cucina per più di 300 persone che non indossano la mascherina nonostante oggi, gli abbiano starnutito in faccia. Quindi tutte le restrizioni di questo mondo, ma se continuiamo ad andar a lavoro senza responsabilità non andiamo lontano.
Ho anche inviato un video ai miei nipoti adolescenti del sud che, continuano a uscire e a non rispettare i divieti. Speriamo bene Buon lavoro
Ilaria

Giuseppe, dal Piemonte

Ciao a tutti, sono Giuseppe e sono un receptionist di un Hotel 4 stelle della provincia di Torino.
Era fine Febbraio quando sono stati scoperti i primi casi di contagio nel Milanese, e contestualmente sono arrivate le prime cancellazioni di clientela estera per i mesi di Marzo e Aprile.
Va sottolineato che, la struttura per la quale lavoro, ha una prevalenza di clientela business. Il che fa dedurre che la cancellazione di una camera è solo l’ultimo anello di una catena “economica” che si sta rompendo.
Nel giro di pochi giorni, sono arrivate le cancellazioni anche della clientela Italiana; più la situazione  sanitaria si aggravava, e più la nostra occupazione rasentava lo 0%.
Con molta difficoltà si è deciso di chiudere momentaneamente l’intera struttura, ristorante compreso.
Abbiamo dovuto annullare matrimoni, cerimonie, banchetti… e tutto ciò che rendeva impossibile attenersi alle regole del decreto ministeriale.
Al momento tutti noi dipendenti, stiamo smaltendo le ferie ed i permessi arretrati, così come da indicazione del Primo Ministro, ma non sapremo per quanto tempo ci verrà assicurato lo stipendio.
La cancellazione di una camera d’Hotel, come già detto, è solo la punta di un iceberg che rappresenta un’intera economia in stallo.
Nella nostra situazione si trovano tutti i fornitori, per esempio le lavanderie, i giardinieri, i tour operator, le agenzie… tutto ciò che ruota intorno al settore del Turismo.
L’Italia, il paese di cui andiamo tanto fieri (in questo momento più che mai) sta vivendo una profonda crisi nel settore che più ci contraddistingue, quello dell’ospitalità e della ristorazione.
Qualora, si spera, la situazione attuale sia momentanea, la perdita subita rimane comunque irrecuperabile. È impensabile pretendere di posticipare tutto ciò che è già stato annullato, per tanto il bilancio annuo è ormai compromesso.
Per queste, e mille altre motivazioni, sono convinto che è nostro dovere, ora più che mai,  “sponsorizzare” il nostro territorio.
Spesso mi viene detto “eh, ma le mete italiane sono fuori budget”…. è vero, molte mete italiane sono più dispendiose di quelle estere, ma credo sia nostro dovere “fare un sacrificio” e rimanere nel nostro paese, anche solo per una fuga di un weekend.
Teniamoci stretti (a distanza), stiamoci vicino e supportiamo le nostre realtà.
Siamo un bel paese fatto di belle persone.
ANDRÀ TUTTO BENE (insieme possiamo farlo diventare realtà)

Debora, da Bergamo

Vivere il tempo del coronavirus in gravidanza sa tanto di una grossa rogna che ti trascina tra la speranza e l’angoscia.
È provato che se una madre in dolce attesa contrae il virus non lo trasmette al feto poiché non attraversa la placenta. Una notizia positiva in un mare di incertezze e paure, sospetti e ricerche a ritroso nella mente per capire chi hai potuto incontrare, quale posto hai potuto visitare o toccare.
Prima del covid-19 dalle nostre parti si è diffusa la meningite, vicino al paesino che da due mesi avevamo lasciato per trasferirci a Bergamo. Mi domandavo se fosse opportuno prendere una misura preventiva come lo è l’acquisto della mascherina per frequentare luoghi a rischio come l’aeroporto.
Rientrato questo allarme, si è allargata a macchia d’olio la notizia dalla Cina e insieme a lei l’infezione del virus. Corea, Russia, Europa, primi casi in Italia. Nel frattempo sia io che Francesco avevamo due voli prenotati da tempo, a due settimane di distanza, per scendere in Calabria e stare qualche giorno nella prima metà di febbraio.
Tutto mi dava l’idea che il virus, come la meningite, ci inseguisse senza raggiungerci, perché il giorno prima di tornare a Bergamo sono uscite le prime disposizioni sulla chiusura delle scuole per una settimana, e la scuola è il posto in cui lavora Francesco. Una settimana si può fare, fin qui lo abbiamo accettato anche con una certa gioia, come fosse una vacanza.
Io mi sono apprestata a spostare la visita che avevo il 9 marzo al Papa Giovanni e a prenotarne una in Calabria per vedere finalmente la mia piccola in ecografia dopo 40 giorni.
Obiettivamente, la mia unica preoccupazione era che avevo tutto l’occorrente per l’ospedale e i primi vestiti della bambina a casa a Bergamo. Ma poiché la scadenza del termine è il 9 maggio, ero convinta di poter ancora ritornare seguendo le giuste accortezze.
Così non è stato, la chiusura delle scuole si è prorogata al 15 marzo e non solo in Lombardia. Si parlava di “zona rossa”, dei casi di contagio in provincia di Bergamo e dell’ospedale in cui dovevo partorire come “un luogo nel mezzo dell’emergenza”. Speravo sempre meno di tornare in tempo per maggio.
Non che tenessi al luogo della nascita, ma la distanza tra casa e ospedale in macchina è di 9 minuti e contavo su questo per vivere serena il momento delle contrazioni. Inoltre hanno sospeso anche il corso pre- parto, una serie di incontri su cui avevo puntato tutto per non avere un travaglio da film horror.
Incassa, incassa tutto finché puoi, sdrammatizza e temporeggia, hai i tuoi cari e tanto supporto attorno, cosa che a Bergamo non hai, e poi c’é il mare! Inoltre il 2 marzo è nata Marta, la mia seconda nipotina, un fagottino che si è fatto attendere 10 giorni e che non smette mai di poppare.
La mia mente rimbalzava tra questi input per sopravvivere alle notizie inaspettate, che, a quel punto, dovevo ritenere mutabili nel giro di pochi giorni com’era accaduto fino a quel momento.
Nel frattempo ho beccato il raffreddore, aggravato dalle cure blande che ho fatto per non prendere medicine pericolose per la mia bimba. Puoi immaginare il mio umore di fronte a mal di testa, gola gonfia, nessuna possibilità di ritornare al Nord almeno fino a settembre e cattivo tempo fuori dalla finestra.
Stavamo progettando di arrivare quantomeno a Roma, dalla sorella di Francesco che ci avrebbe prestato cose molto utili alla piccola in arrivo e al mio ultimo periodo pre-maman. Anche perché noi eravamo scesi in Calabria con uno zaino a testa e due cambi, quindi nostra figlia non era l’unica a rimanere senza le sue cose.
TG dopo TG la TV ci dava la sensazione di dover anticipare quanto prima la partenza per Roma, ed è stato mentre guardavamo il calendario che l’edizione straordinaria ha annunciato il blocco della nazione intera, ritenuta tutta zona rossa almeno fino al 3 aprile. Colpo mortale. Nostra figlia sarebbe nata senza una casa, senza vestiti, senza carrozzina.
Come vedi, la nostra esperienza diretta, insieme a molte altre, è la testimonianza che questo virus bastardo sta mietendo le sue vittime anche in maniera latente. Mette l’economia in ginocchio, blocca i progetti di lavoro e di vita. Decide lui dove dovrà nascere tua figlia, quante tutine sporcherà e quante invece ne lascerà intatte.
L’unica e semplice risposta che possiamo darci, di fronte ai fatti imprevedibili è che la vita non si può comandare, bisogna essere flessibili per non cadere nella disperazione. Probabilmente era già scritto, a questo punto, in caratteri cinesi, che la nostra piccola dovesse nascere al Sud e con lo stretto necessario.
Bambina,
Ti auguro di mantenerti così decisa come quando hai colto al volo l’occasione che ti abbiamo dato di formarti nella mia pancia. Di mantenerti attiva come stai facendo da quando ti ho sentita tirarmi botte dal terzo mese, di rimanere sana come stai facendo dalla prima visita. È iniziato il countdown per il tuo arrivo e ti prometto che per quel giorno ti farò trovare tutto.
La mamma 💌

da deboramagurno.com

Laura, da Brescia

Giovedì. Li conto uno ad uno questi giorni che mi stanno attraversando, mi stanno lacerando, mi stanno scavando, mi stando forse cambiando. Ho una playlist di Yoga attiva su Spotify e una sigaretta fra le mani. La musica mi sta salvando, o almeno ci prova. Cercavo su Amazon delle tele e dei colori per imparare a fare qualcosa che non ho mai imparato. Non avevo neanche imparato a vivere e convivere in una situazione del genere, se proprio devo dirla tutta.
Partirei da 5 anni fa, quando all’età di 19 anni lasciai Lecce, città del profondo Sud con 100.000 anime tra cui avevo famiglia e amore. Arrivai a Bologna con sogni che avevo dentro ma che ancora non avevano forma e espressione. Mi ha accolto con un amore e una dedizione che si è trasformato in meraviglia negli occhi che non dimenticherò mai. Nuova vita, nuovi amici, nuove distanze, nuovi treni, nuove strade. Poi a Ottobre 2018, laurea alla mano, mi sono voluta rimettere alla prova, non concedendo al mio corpo e alla mia mente il tempo necessario per reagire al cambiamento. Mi sono trasferita a Brescia per proseguire con la magistrale e lì, in quel cambiamento, ho scoperto una me che non conoscevo. Attacchi di panico, ossessione, tremolii, insofferenza. Ho tenuto duro. Non me lo potevo permettere e non me lo volevo permettere. Ho trovato un’immane difficoltà nel ricostruire me stessa qui. Mi stava stretta la città, la lontananza aumentata. Da maggio il down totale, che mi ha portato a ‘su e giù’ da casa, in cui l’unico antidoto è lo studio e il cervello che poteva stare altrove. Nel giugno afoso di 42 gradi di Brescia, con la presenza di mia madre prima e di mio fratello poi, ho dato due esami con ottimi voti, tra un attacco e l’altro, fra una dose di gocce e l’altra. L’estate, il mare, la famiglia e gli amici sono stati la cura. Ho iniziato un percorso psicoterapeutico che mi permesso di scoprire i miei limiti e le mie debolezze, mi ha permesso di capire che il suono dei pensieri cattivi può essere abbassato, che il cervello potevo controllarlo e ho smesso di vomitare e di avere convulsioni.
Ho smesso le gocce e mi sono sentita potente, non del tutto, ma erano grandi passi per me.
Ho iniziato il secondo anno di Magistrale e l’ultimo anno di Università della mia vita. Perché quello che faccio mi appaga e mi tiene viva. Ho raggiunto i miei traguardi, ho ripreso in mano una storia d’amore che avevo lasciato cadere nel baratro. Ho iniziato un tirocinio e ora conto solo tre esami dal raggiungimento del traguardo.
Poi, febbraio si è chiuso con una Storia che tutti conosciamo bene. Ho fatto in tempo a fine marzo a scendere a casa per 48 ore per il compleanno di papà che non festeggiavo da 5 anni. Avevo programmato a Marzo due weekend, due fughe d’amore, con un “plusvalore”, lo chiamo così, che da 3 anni quasi mi è stato vicino. Tutto annullato. E sono rimasta sola in casa. La mia coinquilina, anche lei studentessa, ha fatto in tempo a scendere a Ostuni, città d’origine, la scorsa settimana. Mia madre, sabato, durante il Primo Grande Discorso, mi invita ad andare a Milano da mia cugina e chiudermi in casa con lei, perché non mi sapeva tranquilla a stare qui. Rifiuto, mi rifiuto, e temporeggio. Finchè non sono stata più in tempo. Tra domenica 8 e lunedì 9 marzo i controlli presso Milano Centrale si sono intensificati, giustamente. Crolla anche la mia idea di fare la furbata di affittare una macchina: controlli anche ai caselli autostradali. Non avevo alternative, se non restare qui. Da lunedì lavoro in smart working e da lunedì ho fatto dei tortini al cioccolato e ho tentato di fare una pizza. Ma non uscirà mai come quella di mamma. Ieri sera, altro Discorso. Lo aspettavo con ansia e ogni sera ho l’ansia ce ne sia un altro ancora. Fortuna che il lavoro mi tiene buona parte del cervello occupato e che io abbia questa fortuna; fortuna che esistono le dirette social; fortuna che esiste la musica. Ma ora sono qui bloccata, con tanta preoccupazione. Ho chiesto alla mia psicoterapeuta, con cui sono in costante contatto, un certificato per poter andare da mio fratello, studente a Ferrara. Mi sento una fallita: perché non resto a casa, come ci implorano di fare; perché vorrei resistere ancora; perché vorrei riuscire ad affrontare questi (per ora) 20 giorni qui; perché potrei continuare a illudermi che le videochiamate con parenti, fidanzato, e amici possano ancora farmi compagnia. Ma non è così.
Ho fatto gli studi classici, che mi hanno lasciato un insaziabile senso di ricerca nell’etimologia delle parole. Ho scoperto qualche giorno fa che “risorsa” affonda le radici in “ri-sorgere”. La mia famiglia, la mia Patria e l’amore sono una risorsa che mi faranno risorgere anche quando tutto questo brutto sogno sarà finito.
La risorsa permette di rialzarsi in una situazione di difficoltà. Si risorge perché qualcun altro o qualche altra cosa, lungi da te, lo ha deciso e quel prefisso “ri-“ dà sempre sicurezza, che implica e sottintende una seconda possibilità.
So che l’Italia risorgerà da questo periodo, che rinascerà. Mi piace pensarla così. E risorgeremo tutti. Ma l’Italia mi perdoni se non ho le forze di risorgere da sola, se ho bisogno di un aiuto, di un rifugio. Spero che capisca.
Tutto il mio affetto incondizionato a chi come me vuole risorgere, con l’aiuto e il bisogno di altre anime.

Bruna, da Ispica

Cara Lavinia, caro TheStylePusher,
Grazie per questa piccola opportunità.
Sono Bruna e scrivo da un paesino della Sicilia, Ispica. Lavoro in una agenzia di consulenza turistica e affitti brevi di luxury villas. I nostri clienti sono per il 5% italiani e il 95% stranieri.  Eravamo felicissimi quest’anno perché le prenotazioni andavamo benissimo e avevano superato le nostre aspettative, era il risultato di molti sforzi e investimenti. Oggi lavoro da casa, e gestisco solamente cancellazioni, per adesso solo per aprile e maggio ma le previsioni non sono buone; oggi è l’Italia bloccata ma domani saranno gli altri paesi europei e non, e di conseguenza l’intero mondo per i prossimi mesi non potrà più viaggiare. Ho paura.
Mio marito è uno chef e lavora principalmente con la banchettistica, ma ad oggi non può lavorare per nessun evento, compleanni, cerimonie e matrimoni. Siamo a casa, sono le 7 di mattina e sta cucinando non so cosa perché non riesce a stare fermo. Ho paura, ma sono sicura che ce la faremo.
Il mio bimbo ha due anni e con tutta la dolcezza del mondo mi chiede perché non può andare a scuola e io mi rincuoro “purtroppo” pensando che grazie a Dio non è un bambino che vive in Siria.
Vi abbraccio forte, ce la faremo e se vi va venite in Sicilia quest’anno in vacanza così come io andrò sulle dolomiti, Venezia… (Se poi vi fa piacere non appena organizzate le vostre vacanze vi mando il link dell’agenzia dove lavoro)
Un abbraccio virtuale a tutti voi.
Ciao
Bruna

Maria Chiara, da Chioggia

Ciao sono Maria Chiara ed abito a Chioggia, un paese in provincia di Venezia. Avrei voluto scrivervi ieri sera ma ero troppo agitata. Agitata perché questa mattina tramite un collegamento telematico ho discusso la mia laurea magistrale in psicologia. Un momento bello come questo che aspetto da cinque anni (la triennale l’ho vista più come uno step di passaggio) mi sarebbe tanto piaciuto viverlo con le persone che mi vogliono più bene intorno, con la mia famiglia, il mio fidanzato ed i miei amici più cari che sarebbe riusciti ad assentarsi dagli impegni e dal lavoro. Purtroppo non è stato così, doveva essere il 7 e l’hanno posticipata al 13. Avevano detto che mi sarebbe stata concessa la scelta di andare lì solo con due persone a discutere e poi mi è stato comunicato che anche questa possibilità non sarebbe stata attuabile. Sono arrivata a ieri senza nessuna emozione, lo condividevo anche con i miei amici, ero solo un po’ in ansia, lo vivevo come un semplice esame. Ieri sera però non riuscivo a dormire, l’emozione è arrivata tutta d’un colpo pensando ai miei genitori che mi avrebbero vista laurearmi ancora, ai miei fratelli (due presenti ed uno in collegamento da Trieste che a causa dei decreti non è potuto tornare a casa), ai miei nonni che mi guardano dal cielo, al mio fidanzato e a quanto gli sarebbe piaciuto essere lì ad abbracciarmi forte, a tutti i miei amici che in qualche modo hanno cercato di farsi sentire e vedermi comunque. Non è stata una giornata brutta, è stata molto probabilmente meno bella di quanto sarebbe potuta essere ma mi auguro che ci sarà il tempo per festeggiare adeguatamente. Ora penso alle prossime settimane, le prime che ho libere da davvero tanto tempo, distante dal mio ragazzo che abita a Verona e che mi manca già moltissimo, distante dai miei amici che abitano nella mia stessa città ma che comunque non posso trovare. Oggi mi sono mancati davvero tutti tanto, mi sono commossa vedendoli lì in videochiamata, mi sono messa a piangere sentendo tutto quell’amore intorno a me e capendo quanto io sia fortunata, anche se uno dei giorni che ricorderò di più nella mia vita non è andato esattamente come avrei voluto io. Siamo lontani ma siamo vicini uno all’altro più che mai e non vedo l’ora di riabbracciarli tutti fortissimo, cercando di non dare mai più questa cosa per scontato.

Francesca

Stanotte ho sognato di venire a prenderti in macchina, abbiamo cantato a squarciagola per tutta la strada di ritorno: i capelli stropicciati dalla salsedine, la sabbia rimasta sulle infradito, tu che ridevi per i miei balletti al volante.
Poteva non essere soltanto un sogno fino a poco fa, invece adesso ci ritroviamo nelle nostre case sperando di essere momentaneamente al sicuro dal Covid-19, il virus che ha portato allo stato di pandemia. Fino alla scorsa settimana non ci siamo resi conto realmente dell’emergenza all’interno della quale siamo immersi, sì perché́ ci riguarda tutti quanti, nessuno è escluso. Pensavamo fosse qualcosa di lontano, che non ci avrebbe mai raggiunti. Ascoltavamo le notizie provenire dalla Cina come se stessimo guardando l’ennesima serie tv su Netflix. Invece adesso, ora più che mai, siamo incollati agli schermi dei nostri smartphone cercando di essere costantemente informati minuto dopo minuti sugli aggiornamenti dei casi in Italia, con la speranza che i nostri cari e i nostri amici stiano bene. Forse per la prima volta ci stiamo rendendo conto di quanto siamo stati superficiali nell’affrontare questa situazione, ma anche la vita di tutti i giorni: trascuriamo i dettagli, gli affetti, le carezze, il messaggio del buongiorno e della buonanotte. Diamo sempre tutto per scontato, non ci fermiamo mai a pensare, siamo sempre così di corsa (correndo poi dietro a cosa non si sa) presi dal lavoro e da tutti gli impegni quotidiani, che abbiamo perso la sensibilità̀, per noi stessi e per gli altri. Siamo diventati tutti egoisti e terribilmente narcisisti, siamo stati costretti a diventare degli squali che non guardano in faccia nessuno. Abbiamo sempre avuto tutto pronto, tutto a nostra disposizione senza dover chiedere mai niente.
Invece adesso mi rendo conto che abbiamo dato per scontato la libertà.
Non poter raggiungere la persona alla quale tieni di più, nonostante abiti a 10 minuti da te, è straziante. Non poter guardare insieme il tramonto delle 18:19, la neve che si scioglie sulle montagne, i gatti che si rincorrono per la strada, fare colazione insieme con le fette biscottate (tu con la marmellata e io con la nutella).
Presto però ci fermeremo di nuovo insieme a guardare il cielo e le stelle non ti sembreranno solo dei banali puntini nell’aria scura, nera e malinconica.
Sarà di nuovo bello, speciale, senza fiato, incredibile, perché andrà tutto bene.

Sara, da Monza

Ciao Lavinia e ciao Tsp,
sono Sara, vivo a Monza da 5 anni ma sono romana e sono un’infermiera.
Proprio ieri sono tornata dal viaggio che tanto avevo sognato e organizzato nel minimo dettaglio, il mio viaggio in India, il mio viaggio per ritrovare me stessa.
Sarei dovuta rientrare oggi ma ho anticipato il rientro, poiché più tardi sarebbe stato impossibile per la chiusura di tutti gli aeroporti d’Europa.
Da domani tornerò a lavorare nel mio amato pronto soccorso di Vimercate (Monza) dalla mia big family.
Quando, durante il mio viaggio, ho saputo di come stavano andando le cose mi sono pentita di esser partita e di aver mollato i miei colleghi in quella situazione surreale.
Mai nella vita avrei pensato di non veder l’ora di tornare a lavorare.
Vorrei far capire a chi non conosce la mia professione che non sono e non siamo eroi, siamo professionisti della salute, siamo coloro che si prendono cura di ogni malato senza distinzione di età, sesso, religione, credo politico e qualunque simpatia.
Siamo coloro che conoscono la fisiologia e fisiopatologia per poter somministrare farmaci e vedere il loro effetto o gli effetti collaterali.
Siamo coloro che fissano tutta la notte il monitor sperando che il paziente migliori la sua meccanica respiratoria, che migliori l’ipossia, che migliori la frequenza cardiaca.
Siamo gli stessi che quando il paziente viene estubato e dice la prima parola, o quando ci fa “OK” col pollice in su, si commuovono come bambini.
A chi non conosce la mia professione vorrei far capire che siamo molto di più di quello che la società crede, ne siamo parte fondamentale, che siamo laureati, specializzati, masterizzati e soprattutto professionisti preparati.
Ecco adesso non so dirti bene cosa provo, posso dirti che mi sento inutile nel non poter essere lì a combattere in trincea con i miei colleghi, che col tempo sono diventati una seconda famiglia.
Mi auguro con tutto il cuore che questa situazione rientri al più presto, che ci riprenderemo la nostra quotidianità e che tutti possano tirare un sospiro di sollievo, compresi noi sanitari.
Da domani si torna nella mia amata trincea.
Voi state a casa.

Benedetta, da Udine

Ciao TspMag,
Non sapevo se scrivere o no, non sapevo se fosse il caso, perché alla fine nella mia situazione ci sono altre persone.
Ma oggi sono parecchio giù, all’improvviso ho iniziato a sentirmi strana e non so se sia dovuto a questa quarantena forzata, io che sono abituata a non stare mai in casa, ad avere piena libertà dei miei movimenti, oppure dovuto al fatto che questa quarantena forzata [mi costringe] in quattro mura che del resto non mi appartengono, mi ospitano, ma non le sento mie, dove mi manca il calore delle persone che amo.
Perché sono una studentessa fuori sede e nel trambusto generale ho deciso di non tornare a casa, di non tornare al sud, come hanno fatto altri studenti, scelta che non mi sento di commentare perché ognuno è libero di decidere.
Ma adesso mi pesa un po’ tutto. Mi pesa la lontananza, anche se indipendentemente dalla situazione a casa non ci sarei tornata se non a fine giugno. Il fatto di non poterlo obbligatoriamente fare, mi fa sentire tutto il doppio. E poi pesa tutto di più perché la situazione non sembra migliorare e la quarantena non durerà solo fino al 3, ma forse si prolungherà, e queste notizie sporadiche del “forse dopo Pasqua” mi fanno stare ancora peggio.
Oltre ad essere fuori sede, attualmente in casa sono sola, le mie coinquiline sono tornate nelle loro città. E pensare di passare le feste da sola, in una casa da sola, senza la mia famiglia, ma anche senza quei pochi affetti che sono riuscita a crearmi qui con tanta fatica, mi fa venire il magone.
E poi tutta questa situazione di incertezza che ci circonda. Un futuro che non riesco a definire, un po’ mi fa paura.
Scusate, scusate, perché come me ci sono tante altre persone. Scusate perché ci vorrebbe un po’ di positività, ma oggi non riesco. Oggi mi sento giù e avevo bisogno di condividerlo con qualcuno.
Un grande abbraccio, di quelli pieni pieni di amore.
Benedetta!

Roberta, da Parma

DI CORONAVIRUS NON SOLO SI MUORE…MA SI RINASCE.
Chi siamo davvero  quando ci viene tolto tutto  e restiamo soli con noi stessi?
Chi siamo davvero, quando le strade si fanno vuote, i legami si fanno distanze e le belle abitudini solo ricordi?
Qualche mese fa le nostre vite  erano scandite da un ritmo serrato, ma sempre uguale e quindi rassicurante: lavoro, cene con gli amici, aperitivi con i colleghi, pranzi in famiglia, palestra, spesa, scuola.
Poi un giorno stop…ti devi fermare…il Covid-19 è arrivato, è qui..è ora di considerarlo.
Costretta  a una quarantena  da  vivere completamente sola, i primi giorni mi aggiravo nelle stanze del mio appartamento, in un assordante silenzio, un po’ come una gatta spaesata. Mi mancavano i miei amici, la mia famiglia.
Poi ho iniziato  a  prendere confidenza con me stessa e per la prima volta mi son vista come mai mi ero immaginata.
Esistono dei meccanismi davvero perfidi o semplicemente iper-protettivi nella nostra mente; i cosiddetti  “ammortizzatori mentali” che ci aiutano a sopportare il peso di verità troppo scomode, che non vorremmo guardare in faccia mai e che preferiamo seppellire  e oscurare tra  i mille impegni della realtà quotidiana. Purtroppo questi “ammortizzatori” ci fanno perdere la reale connessione con il nostro autentico Io.
La mia vita in primis era ogni giorno una corsa continua, una battaglia contro il tempo per riuscire a far tutto..per non perdere tempo. Eppure mi sentivo sempre spenta, demotivata, sempre persa..se per un attimo mi fermavo avvertivo tutto il vuoto, tutto il non senso di quella vita.
Così mi sono chiesta chi veramente fossi, cosa realmente potevo fare senza la compagnia rassicurante dei miei amici, la presenza costante della mia famiglia e il solito tram-tram giornaliero.
Anzitutto ho scoperto l’importanza dei riti, rispettare quelli vecchi e inventarne  dei nuovi. La mattina mi piace  bere la solita tazzina di caffè amaro con la musica di Bach Cello Suite No.  1 ad alto volume, sempre nella solita postazione, davanti la finestra che dà al giardino. È un rito del tutto nuovo che mi propongo da pochi giorni e che mi consente  di iniziare la giornata più serenamente.  Avere dei riti, infatti, ci permette di isolarci nel presente e di apprezzare l’importanza delle cose semplici,  preparandoci al nuovo giorno con maggiore positività.
Poi, ho intuito la forza di alcune  abitudini che non credevo potessero mancarmi così tanto come attraversare i vicoli della città vecchia sotto il timido sole di Parma, uscire a comprare il giornale,  andare a fare la spesa al mercato. Mi sono concessa momenti di “quotidiana bellezza”. Ho letto libri dimenticati da  anni negli scaffali della mia libreria perché non avevo mai tempo di leggerli, scoperto poesie, film, canzoni nuove che ignoravo, conosciuto ritmi più lenti, più dolci, a cui non ero abituata.
Inoltre mi sono riavvicinata  alla scrittura, una parte importantissima di me, che ho sempre tralasciato da quando ho iniziato a lavorare. Ora ho più tempo per scrivere e quando scrivo mi sento una persona migliore e se ti senti una persona migliore ti senti  anche più felice  e se sei  più felice puoi rendere più felici anche gli altri.
È stato un po’ complicato invece, prendere familiarità con la mia nuova immagine riflessa allo specchio, un po’ più selvaggia ma certamente più autentica, sotto la maschera di un trucco che noi donne quotidianamente architettiamo per sentirci più sicure e  risolute.
Ho scoperto nuove  espressività del mio volto, tratti che son sempre stati lì, evidentemente sin dalla nascita, e che ora per la prima volta mi pare di notarli..
Ma qui arriva la parte più difficile..c’è voluta tanta forza  e tanto coraggio per ammettere le cose che proprio non andavano nella mia vita, situazioni difficili da gestire, persone e abitudini negative che la inquinavano.
Così negli interminabili pomeriggi solitari mi sono presa del tempo per non pensare, cacciavo via ogni pensiero per lasciare solo spazio e intensità a una voce che da tanto tempo attendeva d’ essere ascoltata. Una parte di me cercava di scoprirsi, di rivelarsi, cercava timorosa, in punta di piedi ,di venirmi a trovare. Ci siamo dapprima guardate con una certa diffidenza, come fanno due persone che non si vedono ormai da troppo tempo, poi finalmente ci siamo annusate, ci siamo riconosciute, e io le ho  aperto le braccia per accoglierla nel mio tempo, senza giudizi, senza valutazioni, ed è nata la storia d’amore più bella della mia vita: quella con me stessa.
Ci son voluti solo pochi giorni di completa solitudine per togliermi via tutte quelle maschere, tutte quelle bugie che mi ero costruita nel tempo, per spazzare via una vita eretta su  granitiche ipocrisie  e ripristinare quello che la società e le abitudini mi avevano tolto: la mia identità.
Servono a questo i momenti critici, a ricomporci, a darci nuove possibilità, a dare prova di essere ancora vivi e liberi e capaci di  volare, di sentire, di pensare..
Perciò, non abbiate paura di scoprire chi siete davvero, il mondo ha bisogno di persone felici.
Abbiate il coraggio di abbracciare la solitudine che è vita, di vivervi per quello che siete, di ascoltarvi senza giudicarvi in un impudente silenzio e di cambiare per cambiare le cose.
Alla fine di tutta questa triste vicenda il Covid-19 avrà già trasformato tutto: la società, l’economia, la politica, del mondo intero.
Ma spero che il principale cambiamento riguardi soprattutto noi stessi.
Cambiando noi stessi si può sperare di cambiare davvero il mondo.
Ma questa è già un’altra storia…
Grazie per l’attenzione.

Maria Rosa, da Prato

Ciao Lavinia,
Grazie per questo spazio che hai riservato per tutti noi.
Sono una responsabile di un centro estetico e sin dal primo decreto del 9 marzo ho obbligato il mio titolare a chiudere l’ attività per un senso civico, per responsabilità e per tutelare la salute mia delle mie colleghe e soprattutto delle mie clienti. Mentre in quei giorni le mie colleghe di altri centri estetici erano a fare trattamenti senza rispettare la distanza del metro (perché parliamoci chiaro noi estetiste la distanza di un metro non la possiamo rispettare) e a fare foto su come puliscono e igienizzano il centro (ricordo che per legge dobbiamo santificare, igienizzare, usare guanti e mascherine anche non in tempo di Coronavirus) io insieme al mio titolare ero a mettere in sicurezza l’ azienda. Scadenze, assegni, Iva, F24, non si sapeva nulla, tutto era incerto. L’ unica cosa certa era ed è chiudere e stare a casa.
Inizialmente ero destabilizzata: io a casa non ci sto mai, uscivo alle 8 per rientrare alle 20.30 e l’idea di starci mi preoccupava moltissimo.
Dopo due giorni di preoccupazione e agitazione ho detto : BASTA! IO COSÌ NON VADO E NON POSSO ANDARE AVANTI.
Il giorno dopo (12 marzo) sono andata in negozio, ancora si poteva circolare abbastanza bene con l’autocertificazione e ho preso computer, cellulare con tutti i numeri delle clienti e qualche dispositivo per la pelle del viso (sono una Skin coach) e sono tornata a casa.
In breve tempo sono riuscita a mettere su un sistema di contatto con le clienti. Il mio obiettivo è: non lasciarle da sole! E insieme alle mie colleghe abbiamo creato tutorial di vario genere tra unghie, sopracciglia, pulizia del viso in modo così da tenerle sempre in contatto e soprattutto da non farle perdere la loro bellezza. Si perché è proprio in questi momenti che noi donne ci mettiamo pantofole, pigiama in pile e calzini e ci lasciamo andare.
Ho deciso che io in questo brutto periodo voglio solo prenderne il positivo. Ho scritto su un foglio quali erano tutte quelle cose e attività lasciate per il troppo lavoro e così piano piano ho cercato e ho trovato tutto quello che volevo fare. E grazie anche alla solidarietà digitale posso formarmi gratuitamente. Io che come si dice a Prato, non ‘trovao nemmeno l’acqua in Arno’ 😉😉
La sera quando finisco la mia giornata e ascolto il Tg piango per tutte le vittime ma poi penso a me e penso che da tutta questa situazione ne uscirò VINCITRICE!  E così lo sto trasmettendo a tutte le mie clienti perché la Bellezza salverà il mondo soprattutto da questo brutto momento. Un abbraccio a tutti voi, continuate così!

Michele, da Roma

Ciao, mi chiamo Michele e ho 32 anni, vivo a Roma ma sono siciliano. Voglio parlarvi della speranza che è sempre stata la forza motrice di ogni mia azione. Mi sono trasferito a Roma sette anni fa, appena laureato, convinto che questa città mi avrebbe dato tante opportunità ed effettivamente ne ho colte alcune, lavorando nel settore dell’Hospitality e dell’Intrattenimento e Arti dello Spettacolo. Le mie passioni possono essere banali: moda, cinema, arte in genere ma i miei veri modelli sono gli anziani, faccio tesoro di quello che hanno da raccontarci! Non nascondo che spesso mi danno spunti per lavorare su me stesso. Ho trascorso dei mesi, concentrato solo su cosa voglio diventare da Grande! Continuerò.
Il Coronavirus è arrivato in un periodo di grande fermento per me: avevo appena raggiunto un obiettivo formativo che mi entusiasma tuttora, ma non trovavo il tempo per cucinare, per sistemare casa, per vedere i miei cari.
Vi racconto come passo le mie giornate oggi? Di giorno, sogno per distrarmi… penso a dove mi ero fermato e a come prendere la rincorsa… sposto mobili, appendo quadri, cucino, ascolto musica… ho scoperto TikTok  –  che mi fa tanto ridere –  e sento tanti amici, la mia famiglia lontana, i miei cari.. Tante videochiamate…
Poi, di notte ho gli incubi, tutte le mie preoccupazioni prendono forma ma svaniscono grazie alla speranza alla quale mi aggrappo, grazie all’energia positiva della quale cerco di circondarmi facendo lo scemo, da solo ma unito a distanza!
Ciò che mi turba di più è la consapevolezza di essere diventato già grande e di non essermene reso conto. #iorestoacasa

Veronica, dall’Emilia Romagna

Ho 24 anni, ho lasciato casa da quando ne avevo 18, come tanti, per inseguire i miei sogni, le mie ambizioni. Dopo gli studi, una laurea ed alcune esperienze di lavoro come freelance, alcune anche poco gratificanti (ma bisogna pur mangiare), arriva la mia opportunità, un contratto di tre anni, e quindi garanzie, sicurezza, una parvenza di stabilità, non dover più gravare sulle spalle dei miei e tutto quello che ne consegue. Ma è altri 400 km più a nord, e allora, lascio di nuovo tutto quello che più amo, la mia famiglia, il mio fidanzato, la mia terra.
Sono pronta, via!
Trasloco, nuova città, nuova casa, nuova stanza, nuovi coinquilini.
10 Febbraio, primo giorno di lavoro; “Finalmente!” mi dico, “Ce l’hai fatta!”, ma già da un paio di settimane aleggia nell’aria il timore del coronavirus ed io cerco di ignorarlo, cerco di allontanare l’idea che possa davvero essere così terribile.
Dopo la questione Morgan, in ufficio non si parla d’altro, cerco di rimanere distaccata, di non farmi prendere dall’ansia e dalla paranoia, visto che ogni giorno prendo il treno per andare a lavoro e quindi incontro persone che non conosco e non so dove vanno, cosa fanno, con chi stanno.
Passa una settimana, anche due ed ecco, esplode il caso Covid-19: Codogno, Lodi, Milano. Comincio a pensarci davvero, ad avere paura. In treno resto sulla porta, non mi siedo per tutto il tragitto, al bar chiedo il caffè in plastica, al supermercato sto lontana dalla gente.
Idi di Marzo: primo caso dietro l’angolo, e tantissimi casi nelle città vicine.
8 Marzo: Dichiarate chiuse le zone rosse tra cui l’Emilia Romagna, ci sono dentro. E ora?
Eccolo, il panico è arrivato.
Ecco la consapevolezza, sono sola, completamente. In una città che non conosco, in una casa che non è mia, senza una macchina per poter fare la spesa (visto che il supermercato più vicino è ad un chilometro), non so dove sono gli ospedali, i carabinieri. Non so nulla.
“Voglio andare a casa!”
Ma..d’un tratto, la razionalità. Sono qui per il mio lavoro, per realizzarmi, non posso arrendermi. Non posso partire, tornare a casa con il rischio di aver contratto il virus e danneggiare tutta la mia famiglia.
Non posso mollare.
Da allora, sono qui, in queste quattro mura, che cerco di non sprofondare, a giorni sono su, mi dico che andrà tutto bene, altri giorni credo che sarà ancora molto lunga.
Fortunatamente c’è la tecnologia che mi permette di poter scambiare qualche parola con qualcuno, che mi da la possibilità di poter ancora lavorare, che mi da intrattenimento.
In questi giorni il tempo per riflettere è tanto, e, in tutta la tristezza, l’angoscia, c’è un senso di gratitudine verso la mia vita. Sono grata di avere una famiglia alle spalle che mi sostiene, e non è per tutti, sono grata di riuscire a mantenere il mio lavoro in questa drammatica situazione, e non è per tutti. Sono grata di essere in salute e in grado di rimboccarmi le maniche, e non è per tutti. Sono grata di avere un tetto sulla testa e cibo, e non è per tutti.
Piangiamo, disperiamoci, arrabbiamoci, ma sorridiamo anche, perché ci sono molte cose di cui sorridere ancora.

Andreina, dalla Basilicata

h: 01:10

Come ogni sera, da quando tutto questo è cominciato, non riesco ad addormentarmi. Sono qui, avvolta nel tepore delle mie lenzuola, con la speranza che i miei occhi decidano presto di abbandonarsi ad un sonno profondo…probabilmente dovrò attendere ancora un po’ affinché questo avvenga. Sì, perché questo é il momento esatto in cui i pensieri si accavallano…la sera, quando si spengono le luci, si accendono i pensieri, le preoccupazioni, le domande: quando finirà quest’incubo? Cosa accadrà dopo? Domande alle quali nessuno può dare risposte.
Prima che avvenisse tutto questo stavo vivendo un momento molto frenetico della mia vita: un nuovo lavoro mi aveva introdotto in un mondo totalmente sconosciuto per me e allo stesso tempo mi aveva dato la giusta energia per continuare a studiare con il fine di raggiungere il mio vero obiettivo….ero felice, ma l’ho capito solo ora! Infatti mi avvicinavo ai miei 30 anni con uno strano senso di delusione e con la convinzione di non avere ciò che in realtà a 30 anni avrei dovuto possedere (tutto secondo delle strane teorie che mi ero imposta da adolescente). Poi il mio compleanno é arrivato, durante questa quarantena…ed è quello il giorno in cui ho capito tutto! Mi sono guardata attorno, e ho visto tutto ciò che ho…l’ho visto prima guardando mio marito, la mia famiglia, i miei amici (anche se solo attraverso uno schermo), e poi interfacciandomi con tutto quello che ci circonda in questo momento…sì, perché é doveroso guardarsi attorno  e non pensare ‘tanto a me non può capitare’. Ci ritroviamo a dover combattere contro un mostro insidioso dinanzi al quale siamo tutti uguali, tutti vulnerabili, tutti possibili vittime. Questo fa paura…e soprattutto fa riflettere! Ed è quello che faccio ogni giorno…ho tantissimo tempo per riflettere e cerco di farlo nel migliore dei modi. Alterno momenti di estrema tristezza, durante i quali spesso mi ritrovo anche a riversare delle lacrime, a momenti in cui cerco di fare un elenco di tutte le cose belle che questa quarantena mi sta facendo conoscere, di me stessa e degli altri. Credo che questi sentimenti opposti siano comuni un po’ a tutti. Non so quando tutto questo finirà, ma sono certa del fatto che tutti ne usciremo profondamente cambiati da questa situazione, io spero che ne usciremo più umani. In cosa sono cambiata io fino ad ora? Prima mi focalizzavo su tutto ciò che mi mancava, adesso, ogni singolo istante, sono immensamente grata per quello che ho…come il tepore di queste lenzuola, nelle quali mi trovo adesso e che presto culleranno i miei sogni. E voi, in cosa vi sentite già cambiati?

Francesca, da Morciano di Leuca

Mio zio si è spento ieri mattina, no, non per coronavirus, semplicemente e maledettamente per via del cancro, che dalla bocca è sceso fino al fegato, rendendolo l’organo più grande presente nell’addome. Ed in questo momento già di per sé cosi triste, tutto diventa più tragico. E poco importa se te lo aspettavi, se i referti parlavano chiaro, la morte è qualcosa a cui non ti puoi preparare, ti coglie cosi un po’ di sorpresa e un po’ prepotentemente che tu non puoi fare molto, sei li inerme a vedere ma senza guardare realmente, a sentire ma senza ascoltare. Tutto sembra cosi sfocato e senza senso, ti rifiuti di sentire gli odori, i profumi, di guardare i colori, riesci solo a piangere. Gli occhi si riempiono da soli di lacrime, che sgorgano inesorabili sul viso, senza che tu le possa fermare, sono un fiume in piena e tu puoi solo abbandonarle al loro destino. Volevo finire questa lettera con un “andrà tutto bene” oppure un “ce la faremo,” a guardare la luce in fondo al tunnel, ma scusatemi, io proprio non ci riesco, io quel tunnel ancora lo sto percorrendo, sono solo all’inizio e non vedo luce, vedo solo il buio che mi circonda, la pesantezza sulla testa e soprattutto sul cuore. Da ieri il senso di vuoto e la solitudine si rincorrono ed io mi sento stanca, come se avessi corso una maratona senza la giusta preparazione atletica, è una stanchezza che mi avvolge e che mi accompagnerà per molto tempo ancora, lo so. Questa quarantena sarà l’inizio del mio lutto e non vedere nessuno renderà più facile evitare le domande scomode e i soliti discorsi perbenisti, questa Pasqua rappresenterà la perdita e l’impotenza, ma si risolverà senza Resurrezione.

Serena e Barbara, da Milano

Ciao! Siamo Serena Teruzzi e Barbara Brunati, titolari dell’asilo nido Il Bosco delle Fiabe, sito in Via Luigi Ornato 51 a Milano, attivo da Settembre 2016. Con noi collaborano tre educatrici, Valentina, Marzia e Paola. Insieme al comitato EduChiAmo stiamo cercando di dare visibilità alla nostra campagna per sostenere gli asili nidi privati.
Siamo chiusi dal 24 Febbraio per motivi di forza maggiore e per decreti stilati da Regione Lombardia. Stiamo lavorando per mantenere un contatto giornaliero e un servizio differente per non lasciare sole voi famiglie. Se decidiamo di chiedere cassa in deroga per le nostre dipendenti (fino ad esaurimento fondi, quindi non si ha neanche la certezza di che periodo possiamo coprire) NON SI HA DIRITTO al pagamento del corrispettivo da parte del Comune di Milano per le mensilità di chiusura. Il Comune di Milano, tuttavia, non sa dirci ancora SE, QUANTO E QUANDO ci pagherà i mesi di non servizio. Inoltre, come è già noto, il Comune di Milano paga ALMENO a 60 giorni dal ricevimento della fattura mensile, quindi ad oggi ancora non è stato accreditato neanche il compenso di Gennaio 2020. Senza aiuti da famiglie private saremo costretti a chiudere le strutture. Questo non vuol dire lucrare, ma cercare di sopravvivere. Non abbiamo diritto a sconti o crediti di imposta su affitti ed utenze (pulizie, commercialista, avvocati, telefonia, bollette anche se minime). Girano voci su rimborsi o addirittura possibilità di non pagare rette per il periodo non usufruito. La legge a cui si fa riferimento è applicabile ma NON IN CASI di emergenza. Dall’altra parte ci sono leggi che tutelano anche il continuo pagamento se contrattuale (vedi noi affittuarie). Qualora venisse emanata una qualsiasi nuova legge in riferimento a rimborsi o possibilità di non pagamento bisogna COMUNQUE affidarsi ad un avvocato, non è una decisione che si prende in piena libertà tra le parti. Codacons e servizi al telegiornale pubblicizzano anche moduli di richiesta rimborso che ad ora NON SONO APPLICABILI. Non vi è nessuna legge stipulata in merito ad un periodo di emergenza, come quello in cui ci troviamo.
È importante quindi sapere che stiamo LOTTANDO ogni giorno per capire come poter sopravvivere in questo periodo DURO.
È importante sapere che stiamo continuando a sostenere le nostre spese SENZA ATTUALMENTE gli aiuti di NESSUNO.
È importantissimo sapere che se va avanti di questo passo il 70% degli asili privati NON POTRÀ RIAPRIRE!
Abbiamo bisogno di dare spazio alla nostra voce per non perdere il nostro sogno più grande, quello per cui lottiamo ogni giorno, quello che facciamo con amore e passione da più di DIECI anni, quello per cui ci battiamo, SEMPRE!
AIUTATECI A DARE VOCE AL NOSTRO GRIDO DI AIUTO!

Emanuela, da Palermo

È notte fonda, la città è silenziosa.
Prendo la macchina e vado a lavorare. Stare svegli mentre il resto del paese possibilmente dorme, isola dal mondo stesso.
Ma c’è anche un mondo che non dorme ancora.
Immagino pure esista un mondo che non dorme mai.
E mentre io vado ancora al lavoro, oggi, c’è gente che non lo fa più o che non lo fa come prima.
C’è anche chi lavora più di ieri.
Mi guardo attorno, le strade sono illuminate, alcune insegne dei negozi fanno da cornice. Solo alcune.
C’è chi si occupa di pulire le strade, chi guida una volante e potrebbe pure fermarmi per poi chiedermi dove vado tutta sola a quell’ora.
Mentre tutti devono, tutti dobbiamo stare a casa.
Ma ho con me un foglio che può spiegarlo, anche quando non ci sono parole che bastino per spiegarci cosa succede.
Proseguo lungo la via che si colora di blu. Si dice che il blu trasmette tranquillità, come il cielo, come il mare.
Ma quel blu è il colore di una sirena, e quella è la sirena di un’ambulanza che piuttosto fa paura, ma che in quel momento non fa rumore. Prosegue lenta, ed io lentamente, mi giro a guardarla.
Alla guida vedo un uomo coperto dalla testa in giù e la sua divisa non mi permette di vedere il suo volto.
Io mi volto a guardarlo lo stesso, lui guarda avanti. Deve guardare avanti.
Gli sorrido commossa anche se lui non lo sa, e in silenzio, lo ringrazio.
Posteggio, ho di fronte a me un tornello, vedo igienizzanti dappertutto, e alla mia destra un termometro che apre le porte di una sede di lavoro una volta misurata la temperatura. E inizio così a varcare quella soglia.
Davanti uno o più pc, una o più tastiere, una cuffia a portata di mano e più di un telefono che potrebbe squillare, arriva la mezzanotte, è il mio turno.
Un detto siciliano dice che “cchiù scuru di menzannotti nun pò fari,” perchè anche se fuori è buio, poi le ore passano e la luce comincia a entrare dalle finestre.
Così alcuni colleghi cominciano ad arrivare, è arrivato anche il loro turno.
Oltre alla mia voce interiore, sento la loro, una per volta, come fosse un eco in un ambiente quasi vuoto.
Ci diamo il cambio, da lontano scambiamo poche parole, alcune timorose altre incoraggianti, accenniamo pure qualche sorriso se l’umore lo permette. E attraverso quei metri che ci separano, ci salutiamo dando inizio a un nuovo giorno.
Torno a casa e penso che non ho mai sentito così forte il suono dei miei passi come stanotte.
Una notte tanto silenziosa quanto rumorosa, e che comunque sia stata, è passata.
Da inguaribile ottimista quale sono, voglio pensare che con il passare del tempo ogni piccolo grande passo che tutti, o quasi tutti facciamo, possa portarci verso la stessa via, quella che in questo presente può essere la via d’ uscita da seguire per credere che da un incubo, ci si può svegliare anche ad occhi aperti.
Per affacciarsi al futuro da qualsiasi finestra, da ogni balcone, tirando un respiro di sollievo.
Per aprire la porta di casa e uscire come fosse un sogno da realizzare in un mondo che chiede di guarire e che ci implora di rispondere provando a salvare il salvabile.
Per credere poi che il nostro mondo, quello che indistintamente appartiene a tutti, può svegliarsi e addormentarsi sentendosi più umano, più giusto. E se lo vogliamo, anche migliore.
Un mondo in cui dirci a braccia aperte che anche questa lunga notte è passata, e abbracciare un nuovo giorno, un giorno finalmente diverso, in cui ogni bacio, ogni abbraccio, ogni gesto, possono fare la differenza.
Queste sono solo alcune descrizioni, riflessioni, speranze dedicate a questa quarantena e che appartengono a quella me che, pur facendo molto altro in una vita più o meno normale, lavora principalmente su turni nel settore delle telecomunicazioni. Un settore che non viene spesso citato, e a cui a modo mio decido di dargli così voce in questi momenti tramite questi pensieri.
Porto con me ogni inevitabile preoccupazione e penso che altri ambiti nettamente più difficili vengono invece messi a dura prova come non mai da questa vita difficile.
Una prova che non ha eguali ma che in egual modo riguarda tutti noi che siamo chiamati a superarla facendo tutto ciò che serve.
“Anche se non ce la facciamo, ce l’abbiamo fatta, perchè abbiamo fatto”!
Mi viene in mente questo messaggio inviatomi da un caro amico in un momento non facile, un messaggio che mi ha fatto ben sperare, che mi ha fortificata, e che adesso voglio condividere con chiunque possa leggere queste righe. Perchè in realtà poi, CE L’ABBIAMO FATTA DAVVERO.
Un abbraccio da Palermo

Perla, da Prato

Sono Perla, ho 59 anni e ho vissuto la mia vita al massimo – senza mai fermarmi, senza risparmiarmi, senza mai arrendermi: per realizzare ciò che adesso sono, per avvicinare i miei sogni alla realtà e viceversa.
Così non racconto una storia di dolore, che ce n’è già troppo, ma esprimo un pensiero quieto.
Sono sempre stata una persona positiva e in tutte le situazioni spiacevoli che la vita mi ha presentato (ne ho avute assai) ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno, ho sempre cercato la luce, ho sempre pensato: che cosa mi insegna questo, dov’è la mia forza ora.
La vita presenta a tutti – prima o poi – ostacoli e prove da superare. Io ho cominciato presto e questo mi ha resa forte.
Questo tempo cosa mi insegna …. Questo è un tempo sospeso ma è il mio tempo. Si avvicina per me un’età in cui non potrò dire “domani farò …” il mio tempo è l’oggi in questa bolla di sapone che mi porta dove vuole e vedo il mondo fuori, aspettando di posarmi o di cadere.  Bene: oggi mi riposo. Mi sento come la formica in inverno che sta nella sua tana aspettando l’estate.
Oggi mi scopro lenta e fortunata per ciò che ho costruito e ciò che ho intorno. Oggi riscopro la mia casa, conquistata con tanti sacrifici, e la vivo appieno. Mi sorprendo a scoprire la gioia della calma e questo tempo non lo sento sprecato, perché è il mio tempo: oggi, qui e ora,  lo afferro completamente! Quel tempo che non bastava mai, che bramavo, desideravo con tutta me stessa. Quel tempo che avrei voluto per leggere e per scrivere, come sto facendo adesso, o semplicemente per non fare niente.
In tempi non sospetti bramavo la lentezza di cui scrissi un elogio:

Nell’andar piano quanta bellezza
godere con lo sguardo un volo di gabbiani
non c’è rumore nella lentezza
senz’affanni e più certi, si va verso il domani

 (Maggio 2014)

E sono così grata. Grata per il sole del mattino, grata per la lentezza, grata perché posso ascoltare e ascoltarmi. Grata perché questo mio stand by aiuta me, la mia famiglia e molti altri là fuori.

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